A cura di Gianni Guadalupi. Testi di Charles Yriarte
2001 / 228 PAGINE.
Lingua: italiano
Il labirinto anfibio della costa orientale adriatica, dove ancora sopravviveva una singolare civiltà italo-slava poi cancellata dagli odi nazionalisti, visitato nel 1874 da un francese amante di tutte le arti belle.
Nel 1898 una mina esplosa prematuramente sull’isola di Veglia privò il mondo di una lingua neolatina. Quello scoppio uccise il cavapietre Antonio Udina, l’ultimo individuo che parlasse il dalmatico nella sua variante settentrionale chiamato vegliotto. All’altra estremità del lungo litorale dalmatico, a Ragusa e dintorni, agonizzava intanto una seconda curiosità linguistica che sarebbe sparita di lì a poco: la parlata mista di vocaboli e forme toscano-slave nata dai plurisecolari rapporti fra quella Repubblica marinara e il Graducato mediceo. Sotto i colpi del nazionalismo finiva l’identità dalmata: non si poteva più essere figli di una grande e unica civiltà eterogenea italo-slava. A quella Dalmazia sì bella e perduta, a quel paese multiforme e multietnico, sono dedicate le pagine di questo libro, scritte da un visitatore che fece in tempo a vederla, Charles Yriarte, un visitatore incantato che sbarcava nei suoi porti come se mettesse piede in quelle città d’Illiria sognate da Shakespeare. Completano il libro gli acquarelli dei costumi popolari dalmati, testimoni di una civiltà ormai estinta ma ancora presente con tracce e testimonianze.