La via Emilia è un percorso che si fa parola, il racconto di una strada che per sua natura ha la stessa forma dell’incedere narrativo, la cui anima sono le gracidanti cicale.
La via Emilia, un’antica strada militare che correva parallelamente al limes romano con le popolazioni celtiche stanziatesi nella zona, diventa a partire dal I secolo d.C. perno del nuovo popolamento che coinvolge tutta l’area Cispadana. Forse l’asse più importante della storia d’Italia. La percorre da un capo all’altro Gabriel Faure, poeta e saggista francese, tradotto da Graziella Buccellati. È il viaggio di uno scrittore, non di un critico d’arte – come dichiara lui stesso in queste pagine – «alla perenne ricerca di quell’indicibile che costituisce il nocciolo di ogni esperienza umana: che cosa importa se non riesco a dire […]! So forse da che cosa dipende lo charme di una rosa che si sfoglia, di un riflesso nell’acqua, di uno sguardo femminile?»
Storia dell’arte e letteratura si avvicendano in questo testo, intrecciandosi l’una all’altra. Così come la prosa sfuma in poesia e i momenti di sosta lungo il percorso diventano l’occasione per approfondire quei legami indissolubili che accomunano luoghi, persone e cose. «Noi siamo sempre in uno stato di relazione con un mondo esterno che cambia a ogni istante», scrive l’autore, avvertendo una sorta di contiguità tra il gesto pittorico impresso sulla tela e le cime ondeggianti dei cipressi che si stagliano contro il cielo. Il lettore troverà un testo ricco di rimandi e citazioni insieme ad appassionate e nutrite descrizioni, in particolare dell’opera di Correggio e della città di Parma, e riconoscerà in Faure un viaggiatore ispirato.
«L’anima di questo ambiente naturale luminoso e allegro sono le gracidanti cicale – le cicale descritte da Anacreonte… non amano che cantare, ignorano la sofferenza, sono quasi simili agli dei.»