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Franco Maria Ricci Editore
Il Labirinto scritto
257

La carpa del sogno

Giovanni Mariotti
2017 / 302 PAGINE. Lingua: Italiano
Sin da bambino voleva diventare nulla e diventa poca cosa; è monaco poi eremita, pittore di pesci e anche pesce. Col suo destino extrasociale, il personaggio Kōgi ripropone in modo nuovo l’antica, abbandonata Via dei solitari, dei rinuncianti.
Il primo volume della collana “Il labirinto scritto”, una collana dal ritmo intermittente, dove i libri “accadono” in modo imprevedibile, è La carpa del sogno di Giovanni Mariotti, storico collaboratore di Franco Maria Ricci. Il protagonista, sin da bambino voleva diventare nulla e diventa poca cosa; è monaco poi eremita, pittore di pesci e anche pesce, sia pure per il tempo di una reincarnazione breve e con diritto di recesso. Col suo destino ai margini, extrasociale, Kōgi – questo è il suo nome - ripropone in modo nuovo l’antica, abbandonata Via dei solitari, dei rinuncianti. Gli basta pensare “Kōgi soffre” invece di “Soffro” per soffrire di meno; con la grammatica impedisce al mondo di ferirlo e, se anche, vulnerabile com’è, il mondo lo ferisce, non si tratta di ferite mortali. Correndo sul crinale tra sogni e realtà, reincarnazioni e metamorfosi, il suo tortuoso cammino lo porterà a imparare l’Arte di vivere ai margini, senza dare troppa importanza alle cose. Ormai libero dalla vanità, dall’ira, dal timoroso bisogno di essere giudicato per quello che è e dal desiderio di essere altro, conoscerà le semplici gioie naturali, che non dipendono né dagli Dèi né dagli uomini.
Franco Maria Ricci Editore

Un monaco giapponese amava disegnare pesci, il suo nome era Kōgi, nei giorni in cui non gli veniva chiesto di partecipare a un rito o di cucinare o di aiutare a fare le pulizie diluiva una barretta d’inchiostro vegetale in acqua tiepida, usciva per una passeggiata al termine della quale raggiungeva il lago Biwa dove una minuscola imbarcazione di proprietà del monastero era legata a un pontile, porgeva una moneta al pescatore Bunshi e gli chiedeva di ributtare in acqua una delle sue prede.
Liberato il natante dal nodo che lo tratteneva Kōgi si staccava dalla riva con qualche timido colpo di remo, teneva fra le dita un pennellino di bambù, immergeva il ciuffetto di peli nella ciotolina dell’inchiostro, spiegava sulle ginocchia un foglio di carta “washi”, a quel punto tutto era pronto e, dopo un periodo più o meno lungo di silenzio e raccoglimento, chiedeva a Bunshi di procedere al lancio del pesce.
I guizzi convulsi di quegli animali durante la traiettoria aerea trasmettevano alla sua mano un brivido che la percorreva sino a scaricarsi sulla punta del pennello, dopodiché i nervi si rilasciavano, ma la mano era stata così veloce e sicura che il disegno era terminato prima ancora che, alla fine di un arco nell’aria e nella luce, il pesce scomparisse tra i filamenti di ombra e di alghe che s’inchinavano sul fondo del lago, piegati da una corrente invisibile, come i devoti durante i riti.

Franco Maria Ricci Editore