Il protagonista, bianco, povero e omosessuale, compie un viaggio in Africa. L’evasione che narra non è una facile fuga ma l’adulto, sferzante e talvolta gaio resoconto del viaggio di un europeo attraverso i suoi rovesci e le sue delusioni.
Si legge Africa, si scrive Aphrika. Questa grafia ha un carattere arcaico e delinea un corpo inesplorato, uno spazio di deserti e di leoni. Il nome è ricco di intrecci, strati, sovrapposizioni, dicendo Africa nominiamo un rovescio dell’Europa o un’Europa rovesciata. Il deserto diventa il negativo dell’Europa, uno spazio dell’autenticità, rarefatto e luminoso, idealmente percorribile in tutti i sensi. In realtà è un luogo di pericolo dove si è vincolati alle poche piste tracciate da uomini e animali. Il discorso letterario si installa non su uno scenario simbolico o comunque ingombro di simboli, ma in un’Africa che è anche quella di oggi, con la sua rivoluzione e il neocolonialismo e la ricerca di un’identità: la somma di tutti quei problemi politici, economici e sociali, che non sarebbero stati trascurati da un buon reportage. Un resoconto di viaggio nel quale possiamo leggere l’abbozzo di un movimento che va nel senso dell’Africa e che nell’Africa e nel deserto ci permette di leggere l’Europa al contrario.